RECENSIONI

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Colour Code - Quando il colore è vocazione | Daniela Vasta - Critico d'Arte


Il colore, per Fabio Modica, non è uno strumento accessorio: è una scelta, anzi una vocazione. Cui l’artista ha inizialmente resistito, negli anni, pur fortunati e promettenti, in cui praticava da virtuoso il disegno e il chiaroscuro, giungendo a emulare, nell’esercizio perfetto della copia, i maestri del Rinascimento.
Ma le vocazioni, si sa, prima o poi pretendono di essere abbracciate.
La prima compiuta espressione di questa nuova scelta in favore del colore è costituita da dipinti come The other (2009), Untitled (2010) o Simona (2011): sono volti dall’espressione ora distante ora timorosa che emergono da neri profondi e saturi, in cui le stesure smaltate e neomanieriste degli esordi sono state sostituite da complesse tarsie cromatiche, composte in un equilibrio quasi miracoloso, cesellate con la scrupolosità dell’orafo. I colori prescelti sono spiccatamente antinaturalistici, violenti, urlanti. Modica, profondo conoscitore della storia pittorica europea, si mette non a caso sulle orme di quei maestri della “linea espressionista” dell’arte occidentale che per primi hanno usato il colore come strumento principale dell’espressione: Matisse, Derain, Munch, Marc, Nolde, Ensor, Schiele, Kokoschka, il Kandinsky del periodo monacense. Riferimenti “nordici”, per lo più, con cui evidentemente c’è una sintonia elettiva; un’esuberanza, una sensualità dei colori che tuttavia non si può comprendere senza un riferimento ai colori del Mediterraneo, la cui forza generazioni di artisti hanno cercato di cogliere ed emulare.
Questa “tradizione” del colore offre al giovane pittore siciliano riferimenti illustri e convincenti quanto all’uso a “volume alto”, altissimo, delle partiture cromatiche. Eleggere il colore a vero e proprio “codice” significa che esso assurge a sistema linguistico autonomo e compiuto, dotato di una fonetica, una grammatica e una sintassi, nonché di un lessico utile per “dire”, per raccontare tutta la realtà.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è necessaria molta disciplina per governare forze così poderose. Scriveva Matisse su «La Grand Revue» del 25 Dicembre 1908: «Bisogna che i colori diversi che uso siano equilibrati in modo tale da non distruggersi gli uni con gli altri. Perciò devo mettere ordine nelle mie idee. La relazione fra i toni si stabilizzerà in tal modo che li puntellerà invece di abbatterli […] Dal rapporto dei toni deve risultare un accordo di colori viventi, un’armonia analoga a quella di una composizione musicale». Se i colori sono energie impulsive, centrifughe, tendenzialmente anarchiche, occorre concentrarsi sulle loro proprietà e formulare attente valutazioni per prevedere le loro reciproche relazioni e dominarne perfettamente gli esiti espressivi.
Quando ci si trova di fronte alle opere di Fabio Modica si ha proprio questa impressione: di un’enorme energia sapientemente controllata, meticolosamente guidata. C’è un procedimento costruttivo, di lenta e accurata giustapposizione di tessere, di fonemi, di parole, per comporre enunciati mai fuori controllo. Nelle pittosculture composte di fili elettrici, di stracci, di plastiche, questo procedimento è assai più evidente, perché non si può fare a meno di immaginare il lavoro artigianale delle mani che costruiscono, assemblandolo lentamente, un manufatto. Ma anche nella pittura, a ben vedere, accade la stessa cosa: la costruzione meticolosa della superficie pittorica, tassello dopo tassello, tono accanto a tono, fa sì che l’impulso sia soggiogato dalla ragione, che la passione venga sottoposta al filtro della mente. Qui riemerge, in altra veste e come trasmutata, la forma mentis acquisita nello studio accademico, quell’assunto umanistico per cui la razionalità presiede alla creazione.
Quando, intorno al 2010, la strada del colore, all’interno del percorso artistico di Modica, sembra promettere finalmente una verità di ispirazione e una bontà di risultato che incoraggiano a percorrerla, ecco che l’artista si può spingere a misurarsi con il grande formato, più ambizioso e complesso da gestire. Un’audacia che viene premiata sin da subito da risultati più che convincenti. Le tarsie cromatiche allora di dispiegano, si spianano, assumono un ritmo più largo e meno concitato. Le tessere di colore si ampliano e diversificano nella peculiarità delle diverse superfici, facendosi ora lisce e diluite, ora corpose e materiche. In alcuni punti la densità della stesura pittorica, resa scabra dall’aggiunta di materia (sabbia, detriti, foglie) crea volutamente inciampi visivi, e costringe a una lettura lenta, a riconoscere quei frammenti di “realtà” inglobati nella sostanza viva del colore e posseduti da esso.
Chi guarda però non può fermarsi a una degustazione ravvicinata della pittura: si perderebbe di assaporare la forza dell’intero, che non si esaurisce affatto nella celebrazione del colore e della sua forza. Per quanto possa giungere sulla soglia della pittura senza oggetto, Modica tuttavia non si addentra mai in questo territorio, convinto della necessità “morale” del soggetto, sospettoso nei confronti delle derive contemporanee del concettuale. A chi guarda, si diceva, è pertanto richiesta una “giusta distanza”: non troppo lontano, perché questo farebbe perdere quella complessità di scrittura e di stratificazioni, quella materia scabra e sofferta, che è fondamentale per comprendere la poetica dell’artista; non troppo vicino, perché questo annienterebbe la percezione del soggetto. Questa modalità di cogliere un “intero” costituito di parti discrete, separate, risuona ampiamente nella storia dell’arte occidentale, dal mosaico bizantino alla decorazione barocca alle ceramiche siciliane e arabe.
E oltretutto i temi sono di quelli che arrivano al cuore e che interpellano nella parte più intima di noi stessi. Domande pesanti come macigni: chi siamo? quanto pesa la nostra storia personale? con che bagaglio di macerie e di attese guardiamo al futuro? mi posso fidare dell’altro? esiste davvero la possibilità di un io in relazione? siamo certi della nostra identità o essa è, pirandellianamente, frammentata in centomila apparenze? L’atelier catanese di Fabio Modica è affollato di presenze. È una collettività di storie su storie, di voci intrecciate ad altre voci, di volti che guardano volti, di sguardi che sussurrano racconti di vita e di dolore. Esporre questi dipinti significa liberare narrazioni compresse, in attesa di dispiegarsi e di parlare a voce alta; esporsi ad essi significa essere disposti a un contatto potenzialmente destabilizzante.

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Prof. Rosario Motta



Seguo da molti anni la pittura di Fabio Modica continuando, attraverso l’osservazione meditata dei suoi quadri, un’esperienza culturale intensa, a tratti sofferta, ma sempre particolarmente significativa. Non credo che un’analisi razionale possa esprimere compiutamente il fascino misterioso dei suoi quadri e soprattutto dei suoi volti. L’artista, pur mantenendo una certa aderenza alla realtà, attraverso il colore denso, materico, attraverso l’uso della spatola, viva nelle sue mani, “costringe” l’osservatore a superare ogni barriera logica per proiettarsi in una dimensione sconosciuta nella quale l’intuizione genera bagliori improvvisi e la forma,il segno,il colore squarciano, a volte in un grido, a volte in un sussurro, il velo di mistero che avvolge il senso dell’esistenza umana. Credo che la ricerca inesausta, mai compiutamente appagata, sia il tratto più significativo della pittura di Fabio Modica, ma l’elemento che assume maggiore rilevanza è la sua capacità di coinvolgere l’osservatore, di avviare con lui un dialogo, un percorso in cui i colori si fanno parola, il segno si fa musica per cantare la totalità della percezione e un mondo nuovo e diverso nasce dai suoi quadri, un mondo che non conosce la banalità del quotidiano e lo squallore meschino dei condizionamenti, un mondo che stordisce per l’intensità emotiva che genera e… perdersi può significare rinascere, rigenerarsi nel miracolo operato da un’arte tanto sincera da apparire disarmata Non c’è nella pittura di Fabio Modica alcuna aprioristica difesa, non c’è l’esibizione di una “concezione” dell’arte razionalmente elaborata. C’è l’esperienza culturale ed esistenziale di un artista che si accosta alla vita, e soprattutto all’uomo, per coglierne il senso, quell’essenza vera che si cela dietro gli eventi, i riti sociali, la fretta inesausta e le nevrosi che caratterizzano lo smarrimento dell’uomo contemporaneo; c’è quanto meno il desiderio di esprimere, come dice Montale, “ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. I suoi volti sono a tratti inquietanti per l’abisso che spalancano davanti ai nostri occhi, per il nulla che ci circonda consapevolmente e compiutamente espresso; spesso, invece, ci esaltano per la forza vitale che li pervade restituendoci in parte il panismo di D’Annunzio e di altri autori decadenti, ma c’e in Fabio Modica qualcosa di nuovo e di diverso; c’è la vita che scorre nella forma e nel colore, c’è l’accettazione consapevole dell’angoscia e il suo superamento che, proprio per questo, conduce alla percezione dell’eterno, c’è l’armonia che colma ogni vuoto esistenziale e che manifesta il “miracolo” delle cose.

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Fabio Modica a Fiuggi ... di Fausta L'Insognata Dumano

 

La location è l'officina della memoria e dell' immagine fino al 24 marzo a Fiuggi espone "Fabio Modica", siciliano, nato a Catania nel 1978, allievo di noti artisti quali "Alberto Abate e Antonio Santacroce". Le sue opere sono esposte in gallerie internazionali. In questa cornice particolare, l'officina, che meriterebbe un racconto a parte, per l'intelligente riuso della struttura, gli occhi e le labbra , volti meravigliati ti intrappolano. Materia e Luce è il titolo della mostra, colpi di spatola coprono la forma, creando contrasto, raggi di luce mettono in risalto i personaggi. Donne, volti di donne da sguardi intensi paure, emozioni, tensioni, promesse, labbra carnose, desiderose di essere baciate o di baciare in un mondo fatto di indifferenza.

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Topografie del profondo - Giovanni Stella


Se è vero che tutta l’opera di Fabio Modica interpella inequivocabilmente lo spettatore, è vero allora che l’opera è generata, non solo da motivazioni di ordine estetico ben solide, ma, a monte, da un’interiore istanza, irrinunciabile, che si traduce nell’assunzione di responsabilità morale dell’artista verso i destinatari della sua creazione artistica.
Una posizione, questa, che certa contemporaneità neglige a vantaggio di una concezione libertaria, generativa di un credo anarchico, autoreferenziale, dell’arte, secondo cui il segno è il senso, escludente il fruitore relegato a un ruolo marginale.
Nel lavoro di Fabio Modica tutto tende a instaurare un rapporto dialogico con un destinatario, pensato come soggetto attivo tanto quanto lo stesso artista demiurgo, un destinatario cui è diretto lo sguardo dei suoi personaggi, agito come dardo saettante che mira a dar vita a un duello senza esclusione di colpi, al modo del balzacchiano Rastignac, che dalla torre Saint Jacques lancia il suo guanto di sfida alla città di Parigi: “Et maintenant à nous Paris”.
Nessuno di noi, entrato imprudentemente nel raggio di azione dello sfidante, può sottrarsi al cruento gioco dialettico dello sguardo che non lascia scampo. Da quel momento l’artista realizza, attraverso immagini spiazzanti, una relazione emotiva, il cui esito è aperto.
L’artista riprende con una perentorietà segnica, inconfondibile, propria del nostro tempo, la grande lezione antonelliana, nella resa del volto umano, instauratrice di un vincolante rapporto bilaterale, che si estrinseca in un passaggio di energia tra il misterioso soggetto, emerso dall’ombra, e lo spettatore ignaro adescato.
Ma, nelle immagini di Fabio Modica c’è un di più: la presenza, ineludibile, del grande viennese indagatore dei sogni e delle profondità spaventose del nostro essere. Sicché il volto umano diventa topografia dell’anima, territorio di indagine dell’artista detective, che non è mai pago d’esplorare le zone d’ombra, i percorsi intricati sotto traccia, le pulsioni che sfuggono al controllo della coscienza.
In questa selva fitta, dove filtrano qua e là, tra grovigli di tentacoli, raggi di luce, iridi illuminanti come spot nella notte attraversano lo spazio materico, dove il duello si compie e si rinnova all’infinito: è il gran teatro di Fabio Modica, artista scenografo che dispone stratificati accumuli di vibrante colore spatolato sulla tela torturata con sciabolate da action painting: una texture che richiama modi della street art americana, ragione, tra le altre, del successo che gli arride oltreoceano.
Questa matericità è l’esito di una cultura visiva che l’artista ha respirato a seguito di incursioni fruttuose nel XX° secolo e in questi tre lustri del nuovo millennio, caratterizzati da sperimentazioni accanite, volte a innovare ad ogni costo, scandalizzando anche e bruciando con furia iconoclasta persino l’alfabeto originario.
Fabio Modica ha evitato gli eccessi grazie al suo universo umanistico, al centro del quale c’è l’uomo con il suo carico di inquietudine e di contraddizioni: figura incombente che si offre allo scandaglio degli avventori, lì convenuti per caso, o precettazione, e chiamati ad avventurarsi, dismessi stati di atrofia, rassicuranti verità cristallizzate, luoghi comuni, nei territori dell’altrove, dove tutto è inedito e periglioso.
Dopo quel “vis à vis” nulla è più come prima. L’instabilità s’insedia al posto della plumbea stasi, il dubbio scardina i pregressi equilibri, la linea retta si frammenta e il colore spezzettato in tasselli irregolari nervosamente definiti dà conto del caos vitale.
E’ la sprezzatura che nella sua prima formulazione, si fa ascendere a Tiziano e poi al Rembrandt dell’esemplare “La sposa ebrea”, e, infine a Burri, nella contemporanea declinazione di Modica.
Una notazione, quest’ultima, per dire come si può essere contemporanei senza negare la storia.

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 Percezioni Nascoste - Prof. Salvo Russo - Accademia di Belle arti di Catania

 

                  “ … dal cervello e soltanto dal cervello prendono origine i nostri piaceri, la gioia, il riso, il gesto, come pure la tristezza, il dolore, la depressione, le lacrime. Attraverso il cervello pensiamo, vediamo, ascoltiamo e distinguiamo il bello dal brutto il male dal bene …” Ippocrate di Kos (V sec. A C.)

                                                                                                 

Fabio Modica, classe 1978, è sicuramente un degno prosecutore di quella scuola catanese di eccellente pittura non ancora, secondo me, sufficientemente valorizzata e analizzata nei suoi aspetti storici e artistici. Scuola che ha visto tra i principali protagonisti personalità di assoluto livello internazionale come Alberto Abate, i fratelli Nino e Tano Brancato, Francesco Scialfa, Antonio Santacroce, Antonio Sciacca e tanti altri che sarebbe troppo lungo qui citare. Artisti legati fra di loro da un comune “fil rouge” di rigore e metodologia del “saper pensare” per poter “saper fare”. L’arte è sicuramente un valore morale aggregante che plasma continuamente il nostro mondo e il nostro modo di rapportarci con gli altri, ed è per sua natura trasgressiva (a volte in maniera eccessiva e forzatamente provocatoria), ma tale caratteristica non può omettere la conoscenza e il sapere in tutte le sue forme teorico-pratiche e ciò per evitare di cadere nell’anarchico concetto che “tutto è arte”.

Fabio Modica ha percorso la via della rigorosa formazione che i suoi Maestri gli hanno sapientemente indicato e oggi dimostra, con le sue opere pittoriche, di aver colto l’essenza dell’essere artisti rigorosi. Senza badare eccessivamente al timore di essere legato alla tradizione pittorica o al passato le opere di Modica vivono a pieno il contemporaneo e sviluppano un approccio ben saldo al concetto che in arte non esiste progresso (l’arte non è scienza e non ne subisce le regole e condizionamenti), ma esiste solo una differenza sostanziale tra buona e cattiva arte, tra buona e cattiva pittura. Nelle opere di Fabio Modica la materia pittorica è sapientemente sovrapposta sulle tele a formare visi , volti e facce dai colori sgargianti di matissiana memoria,… colori che vanno considerati come phantom, cioè puri spettri visivi privi di realtà fisica, proprio in quanto l’uomo può immaginarli ed anche sognarli, così che essi debbono considerarsi pure emozioni (Isaac Newton). Soggetti e figure eterogenee che ci osservano in un gioco continuo di rimandi espressivi dal forte impatto emotivo. L’artista fa sì che le sue figure oltrepassino lo sguardo dello spettatore proiettandole così in una dimensione metafisica del tempo “unico”,… del tempo non corruttibile che è contemporaneamente presente, passato e futuro.

L’artista innesca così un piacevole stato d’animo straniante in cui percorrere continuamente i tratti somatici delle figure alla ricerca di improbabili somiglianze, ma con la certezza che parte di quei volti ci appartiene. L’occhio del pittore scruta in primo piano i volti ritratti quasi a voler penetrare la materia carnale per oltrepassarla, per poter inseguire e descrivere l’anima del soggetto, i suoi sentimenti più intimi, i suoi pensieri più reconditi nella certezza che ognuno di questi è unico e va considerato una splendida eccezione. Nulla è lasciato al caso e anche se il gesto è rapido nel creare materia, il risultato è un perfetto equilibrio cromatico tra le parti. Queste opere fanno sì che chi le osserva viva nel proprio spirito quel rapporto immediato e intuitivo tra soggetto e oggetto che solo l’arte riesce a creare attraverso forme sensibili che l’artista è in grado di concepire e ciò al fine di giungere e maturare in tutti noi, in chi guarda un’opera d’arte, una maggiore consapevolezza del sé. La percezione cromatica che le opere di Modica ci propone può essere definita con il termine orientale “immaginale”, termine che corrisponde ad una precisa facoltà dell’anima, il colore così non è solo elemento fisico ma diventa arte della memoria.

Rossi, gialli, viola, neri ...etc., si fondono in un’armonia che fa dimenticare qual è il reale colore di un viso risultando infine veritieri nella “bugia”(l’arte ha sempre avuto il merito di rendere visibile ciò che visibile non è,… una bugia per dire l’unica verità possibile). Spesso certa critica si è lasciata andare citando con compiaciuta affezione teorie filosofiche che, a mio parere, anche se di indubbio valore storico, ritengo alquanto discutibili. Teorie profetizzanti la morte dell’arte (Hegel) o il superamento del manufatto artistico in nome di una concettualizzazione “tout court” che, nella maggior parte delle volte, ha nascosto incapacità, dilettantismo o peggio ancora malafede. Tale visione è purtroppo organica oggi ad un sistema dell’arte supportato dal pensiero debole e dalla crisi di valori morali, di fatto al concetto di opera d’arte è stato preferito il concetto di merce e al linguaggio letterario e poetico il linguaggio pubblicitario. Le opere di Modica dimostrano invece come si può disconoscere tutto questo e, con la convinzione derivante dalla qualità della propria ricerca pittorica, affermare che l’artista non rinuncerà mai all’istinto primario di tracciare segni, di creare forme, di dare vita a volti che prima non esistevano e che esisteranno oltre il tempo finito di chi li ha creati. “L’Arte è esperienza cognitiva, certamente mediata e influenzata dalla cultura, ma è anche un’esperienza estetica ed emotiva “ (Semir Zeki).

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La sconfitta dell'assenza - Nino Arrigo - Critico letterario

 

Sembra essere l’uomo il centro prospettico della poetica di Fabio Modica. Una poetica che sembra sancire, con vigore, un ritorno alla figurazione. Le opere del pittore catanese sono una sarabanda di volti e corpi, prevalentemente femminili, indagati nei dettagli da un obiettivo che, con raffinata curiosità e indiscrezione, ora si avvicina, ora si allontana. E quando si allontana dalla figura umana, si sofferma su un paesaggio, naturale o urbano, colto in una mitica fissità. Onirico e rarefatto. Stanca delle cervellotiche elucubrazioni e delle generazioni dell’arte tardo novecentesca, persa nelle ambagi dell’assenza, dello scacco della rappresentazione condotto sino a sterili e autoreferenziali provocazioni, la pittura di Modica sembra essere una felice ritorno alla “presenza”, alla forza della figurazione, ad una classicità rivisitata alla luce della forza espressiva della contemporaneità, attraverso un linguaggio intenso ed originale, ricco di seducente carnalità. E così nei ritratti e nei volti femminili, quasi “scolpiti” con dense porzioni di materia, la forza della figurazione sembra indebolita e rafforzata ad un tempo da potenti pennellate e sciabolate di spatola, agglomerati di colore che ne destrutturano, come le tessere scomposte di un mosaico, la forma. A voler prendere in prestito il vocabolario di una delle più fortunate estetiche del Novecento, quella nietzscheana, nelle opere di Modica l’arte plastica di Apollo sembra posseduta da Dioniso, e si agita, soffrendo si deforma, ma non ne è ancora sconfitta. La forma sembra, allora, scomparire e misteriosa mente riapparire. Come in un gioco di specchi che sembra coniugare, con grande equilibrio, classicità e modernità.

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Visioni dell'anima - Giovanni Gibiino


Pittura come sognata. ..frammenti di immagini ed incantesimi fantasmagorici. ..nudi materici e realistici. Si avvicendano sulla tela una miriade di stati d'animo dettati dalla fervida fantasia dell'artista... dall'emancipazione dello sguardo attivo del profano spettatore. Colori e luci fondamentali per suscitare interesse, magnificazione, serenità. Fabio Modica, classe 1978, allievo di Alberto Abate e Antonio Santacroce, si addentra in se stesso e produce una serie di lavori introspettivi, che nascono dalla realtà e dall'immaginazione. Grandi volti dipinti su grandi tele, visi con sguardi intensi e penetranti che catturano l'emozione dello spettatore, nudi iperrealistici depositari e protettori di una conoscenza che nasce da una riflessione e che genera una bellezza nuova. I volti sono una porta, un'istantanea di frammenti di vita.. ..di visioni dell'anima, qui riesce ad assegnare una personalità precisa ai volti apparentemente anonimi, collocandoli in un taglio sempre diverso e utilizzando la linea dello sguardo come forza che accende la frequenza comunicativa tra figura e osservatore. Tra pennello e spatola esprime il suo innovativo modo di percepire l'arte, dando vita a opere semi astratte con colore su colore, pittura sopra pittura; un espressionismo astratto. Ventisei nuovi lavori su tela, vibranti e suggestivi, dagli Stati Uniti, riportano in Italia Fabio Modica dopo un intenso anno di esposizioni tra Londra e Atlanta. In mostra a Catania negli spazi dello Studio-A art gallery, l'artista farà vibrare la corda della curiosità, quella che consente di percorrere con la memoria fisionomie come stati d'animo, volti come rilievi di un'esperienza esistenziale scritta nelle pieghe dell'espressione.

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La luce emotiva delle cose - Antonio Vitale – Critico d’arte 

 

Nell’ultimo periodo le opere di Fabio Modica si sono sviluppate con rara coerenza di linguaggio e di esiti espressivi giungendo ad approdi che si fanno ora densi, incisivi, a volte drammatici tra le pieghe delle sue “facce”, ora leggeri quasi evanescenti nell’impalpabilità dello stupore della luce presente nelle sue “nature”. Queste ultime, in particolare, sono colte nella trasparenza dell’aria, nel chiarore diffuso e vario del colore accolto nella sua tavolozza ed espresso con incedere singhiozzante nelle sue tele. È come se il protagonismo affermativo delle sue facce si infrangesse nella ingenua pensosità delle sue nature fatte di tante scene che esaltano una malinconia lucida, soffice, talora amara e riflessiva. La sua pittura si direbbe rispondere in maniera aderente e coerente a come l’artista appare: una personalità mai chiassosa, che interpreta nella frammentarietà della pennellata usata la metafora di un’emotività palpabile che lo abita e lo indirizza. La varietà e la densità dei colori usati esprimono un miscuglio di stati d’animo, sono un tributo indiscusso di positività, narrano di uno sguardo stupito e incuriosito verso la vita e il mistero dell’incontro. È vero le cose esistono indipendentemente, comunque perse nell’oscurità di uno spazio, ma è la luce con il suo contenuto emotivo variabile e tonale a dare loro visibilità, dignità, possibilità d’esistere. La luce, al mutare nelle sue escursioni d’umore tra notte e giorno, offre a chi guarda una percezione delle cose e dello spazio attorno che sempre cambia. Nasce su questa scia di riflessione un racconto passionale ed appassionato di facce, ma non solo, usate come pretesto attraverso cui la luce può rendersi manifesta: è la luce che ha bisogno delle cose! I suoi visi sono spesso lambiti da un chiarore radente in un dialogo nel quale Modica è capace d’interrogare il buio di un’ombra, quasi volesse farci dire: ma tutto ciò esiste davvero? Sembra che la preoccupazione realistica incartata nella pelle di un volto si sottragga agli incanti speculativi per sfociare in una più ombrosa partecipazione emotiva. Guardando le sue opere si ha la sensazione netta di una fusione armonica tra uomo e natura e lui come un musicista realizza delle variazioni di soggetto e di concetto mantenendo però sempre costante il misterioso protagonismo di una luce tagliata e tagliente. È interessante vedere come da un volto all’altro i colori esprimano stati emotivi completamente diversi e come l’artista si risolva a scegliere un determinato soggetto rispetto ad un altro secondo un meccanismo poco analitico e pianificabile che dimostra, qualora necessario, come l’arte sia spesso anarchica, allergica alle regole. Come un ricercatore nel suo laboratorio, Modica rileva le suggestioni che attraverso le sue pennellate crespate, i suoi fili vorticosi o il suo articolato microcosmo oggettuale, riesce a tirar fuori alla materia; da essa estrae le molteplici possibilità espressive per formulare il suo pensiero in una lotta, intimamente vissuta, tra ciò che vuole e quello che è la realtà delle “cose”, per giungere nel transitorio di una tela a una forma esplicitata di equilibrio, a una sua idea di armonia, al di là del messaggio dato. La complessità degli interminabili labirinti dei suoi fili suggerisce strade da percorrere, così come la polverosa numericità di minuscoli oggetti rimanda a una prolissità di pensieri che fanno l’Uomo. Il senso di tutto si concentra e condensa in volti abitati di bellezza o in visi intrisi di sofferenza nei quali un non troppo sottile filo rosso li lega: gli occhi. Occhi ipnotici, di un persistente colore azzurro cristallino nella struttura intima della materia e per questo profondi fino all’anima. Occhi custodi di verità che nella pienezza della loro apertura sono capaci di tirare dentro nel discorso chi guarda. Occhi che interrogano e scrutano. Occhi che parlano. Nel meraviglioso mondo di Fabio Modica, l’arte come miscuglio di scienza e incoscienza, di senso e di perdimento.

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"Lettura d’arte" di Lorenadia Vidoni

 

Fabio Modica è uno di quegli artisti le cui tele "impressionano" al primo sguardo. E' un alchimista del matrimonio tra i colori, un tecnico dell'arte la cui sicurezza del tratto è sorprendente. Il suo sguardo perfora come un laser, le persone ed i paesaggi per scoprirne ogni minima debolezza. Egli mette a nudo i suoi modelli, senza svestirli e ce ne consegna una visione soprannaturale e potenziata. Guardare una tela di Fabio Modica, è come indossare degli occhiali "scanner" e vedere la vita ai "raggi X." Le sue tele stupefacenti ed avvincenti non lasciano nessuno indifferente." 

 


Ufficio Stampa: Sabrina Falzone - Galleria "Il Borgo" - Milano


"Il dinamismo cromatico di Fabio Modica, propone una nuova visione del nudo in chiave odierna, rafforzato dal rivoluzionario studio di luci ed ombre esente dal tradizionale uso del bianco e nero".
Dopo l'esposizione della famosa scultura "L'Etiope" di Salvatore Fiume, ecco altri giovani nomi dell'arte contemporanea affacciarsi sulla scena francese. Tra questi il pittore italiano Fabio Modica. La sua pittura propone un suggestivo connubio cromatico tra universo astratto e realtà figurativa, ponendo l'accento sul pathos dell'opera d'arte".

 


Simona Giuffrida - Università di Catania.

 

Il colore-demiurgo elude il concetto per inseguire uno stato emotivo e fagocitarlo; travalica la narratività del racconto, i confini delle parole, le maglie del figurativo e della memoria, per celebrare se stesso e le cose nella loro essenza materica e spirituale. L’artista segue i gesti e gli accenti del colore come un orchestrante il suo direttore e, con mani da demiurgo e da chirurgo, estrae energia vitale e vibrante dai suoi soggetti eletti - volti, pinete, marine – che vengono così guariti dal cancro della banalità e della spersonalizzazione, per rifulgere di una luce individualizzante ed insieme universale, ordinaria ed insieme mitica. L'artista, come sempre, si specchia nel demiurgo, ma qui il suo doppio è fatto di puro colore, materia che plasma la materia, elemento scardinante di una rappresentazione in cui il figurativo è solo un mezzo espressivo, mai un fine.

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Francesca Mariotti - Spazio d'Arte "L'Altrove" - Ferrara.

 

"Le sue opere sembrano essere il correlativo oggettivo di uno stato d'animo o di un ricordo per la sensibilità con cui il colore cattura l'emozione. Eseguiti con strati multipli di pittura acrilica e una combinazione di spesse e ruvide campiture di colore, che ricordano Derain, i suoi quadri rivelano energici e vitali tratti di spatola, vibranti di suggestioni ed emozioni. Il tratto, i colori e il taglio fotografico sono ormai caratteristici del suo stile inconfondibile".

 


Maria Salamone – Poetessa. Cannes.

 

“C’è anima, c’è cuore, c’è vita, c’è musica, c’è poesia, c’è amore... nelle opere di Fabio Modica, in cui si riflette il suo animo, la sua personalità, la sua sensibilità... Un animo travagliato, (com’è spesso quello dei grandi artisti), che respira attraverso la vivacità dei suoi colori, e spera che quel briciolo di magia, quel raggio di sole, quel tocco d’arcobaleno vengano ancora rischiarare il suo cielo. Una personalità franca, schietta... Una sensibilità a fior di pelle... che genera emozione, passione, creazione… Sono forse questi gli ingredienti che fanno di un uomo ‘un Artista’, il cui nome potrà vivere nel tempo e nei secoli”.

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